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Littératures en mutation, Françoise Morcillo, Catherine Pélage

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LITTÉRATURES EN MUTATION, Écrire dans une autre langue - Françoise MORCILLO, Catherine PÉLAGE LITTÉRATURES EN MUTATION, Écrire dans une autre langue - Françoise MORCILLO, Catherine PÉLAGE
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Publié en Tchèque : Le Dandynisme littéraire en France au XIXe siècle : Literarni Dandysmus 19.stoleti ve Francii aux Éditions Karolinum

Literarni Dandysmus

Paru en 2013 aux Éditions Karolinum, Prague, traduit en tchèque par Alena Lhotova.


LE DANDYSME LITTÉRAIRE EN FRANCE AU XIXe SIÈCLE - Karin BECKER LE DANDYSME LITTÉRAIRE EN FRANCE AU XIXe SIÈCLE - Karin BECKER
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Ouvertures & limites de l'anthropologie médiévale par Corinne Denoyelle

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Mimétisme, violence, sacré : approche anthropologique de la littérature narrative médiévale Mimétisme, violence, sacré : approche anthropologique de la littérature narrative médiévale
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Une longue critique dans la Revue critique de Philologie romane de l'Université de Zurich

MIMÉTISME, VIOLENCE, SACRÉ Approche anthropologique de la littérature médiévale, études réunies par Hubert HECKMANN et Nicolas LENOIR, Orléans, Editions Paradigme, 2012 (Medievalia n° 78) 218 pp.

     Le tesi antropologiche di René Girard hanno ottenuto da ormai qualche an-no gli onori del riconoscimento délie neuroscienze. La célèbre teoria dei neuro-ni specchio, messa a punto dall'équipe dell'Umversità di Parma guidata da Vittorio Gallese e Giacomo Rizzolati' ha confermato la tesi girardiana del deside-rio mimetico esposta in Mensonge romantique et vérité romanesque1 e in La violence et le sacré3.
     Nonostante la fama mondiale, la figura di Girard è rimasta piuttosto ai mar-gini del mondo accadcmico francese: gli studi presso l'Ecole nationale des Chartes, una carricra svoltasi ncgli Stati Uniti, la radicalità délie sue teorie, tutto ciô ha contribuito a farne un personaggio non molto noto in Francia e solo nel 2005 è stato eletto membro dcll'Académie Française.
     Questo volume, che raccoglie gli atti di un convegno organizzato dal 'Centre d'Etudes et de Recherche Editer/Interpréter' dell'Università di Rouen e svoltosi a giugno 2009, dà voce al crédite di cui la teoria antropologica di Girard ha cominciato a godere negli ultimi tempi e si propone soprattutto di rimediare alla scarsa considerazione di cui essa è stata oggetto negli studi di medievistica. È stato chiesto a un gruppo di studiosi di letteratura médiévale di verificare le ipotesi girardiane su alcuni testi narrativi del xii e xm secolo, allô scopo di metter-ne in luce le possibilità crmcncutichc, corne i lirniti.
     Il pensiero di Girard puo, corne ogni pensiero radicale, essere condensato in poche parole chiave, addirittura trc: irnitazione, violenza, sacro. Alla base di ogni forma di cultura ci sarebbc pcr Girard il processo rnirnetico, tratto urnano per eccellenza, corne Aristotele aveva intuito. Se gli uomini smettessero improvvisamente d'imitare, dicc Girard, ogni forma culturale scomparirebbe4. Il desiderio é scmprc un dcsidcrio mimetico, mediato, mai scaturito primariamente da un oggetto, ma da un modello-rivale, in quella che diventa una lotta di tutti  contre» tutti, dovc i legami sociali sono minacciati dal caos, dall'indifferenzia- zione, e che solo l'intervento di una vittima sacrifïcale e délia dimensione ritua- le-religiosa puô attutire.
     L'asse tematico délia violcnza puô ovviamente offrire una fertile pista di ri- cerca nell'ambito délia letteratura médiévale5. Corne suggeriscono i curatori del  volume nell'introduzione, è immediato imparentare la società médiévale, priva  com'era di un sistcma giudiziario centralizzato, allé società délia violenza di cui ci raccontano gli antropologi. Ma, continuano Heckmann e Lenoir, la società médiévale non coincide con quelle primitive, consiste invece in una «zone grise»6, un'entità mediana che si approssima verso un sistema giudiziario. Si trat-terà quindi di indagare i limiti di una nctta sovrapposizione délie elaborazioni di Girard al mondo médiévale c, in particolare, addentrandosi nel campo letterario, di tener présente che i tcsti possono accogliere altro rispetto al mimetismo, alla violenza, al meccanismo sacrifïcale, che i testi medievali, essendo pregni di cristianesimo, se possono contencrc schemi arcaici, possono contemporaneamente operare una loro messa in discussione: «une lecture girardienne est pourtant possible, reconnaissant et dévoilant l'écart entre la théorie des structures sociales et la structure littéraire du récit médiéval»7.
     La prima parte del volume, dcdicata al romanzo arturiano, è inaugurata proprio da uno scritto di Girard, uno dci pochi dedicati alla letteratura médiévale, la traduzione franccse di un saggio su Yvain, comparso in inglese nel 19908.
     Al centro délia trattazione l'idca che la reputazione cavalleresca e lo spirito di competizione da qucsta alimcntato siano posti da Chrétien al vertice délia struttura del racconto e che ogni altro elemento vi sia subordinato. I testi di Chrétien sarebbero pcrcorsi costantcmcnte dalla domanda 'chi è il miglior cavalière?', senza che a qucsta possa rispondere un'autorità estema: sono proprio i cavalieri a finire per ammirarc il migliore più di se stessi. In un inarrestabile movimento compétitive, in cui ciascun personaggio funge, insieme, da rivale e da modello per un altro, i tcsti proporrebbero suggestioni di sdoppiamenti, raddoppiamenti, specularità idcntitarie. Girard colloca al centro del saggio il combattimento di Yvain c Gauvain, il principio di rivalità che lo anima, la divisione interna a ciascuno dci due pcrsonaggi tra amore e odio per l'avversario-model-lo, l'essere proicttati verso lo scopo di «devenir Punique objet d'admiration et de désir de tous les autres, et surtout de son adversaire»9, per arrivare - forse un po' ingenuamente - a parlarc di Yvain e Gauvain in termini di doppio, corne suggerirebbe l'assonanza dei nomi.
     Assoggettata all'anirna competitiva délia cavalleria, ogni altra costituente del mondo romanzesco passercbbc in seconde piano e anche la dimensione ses-suale non avrebbe altra matrice se non quella délia competizione mimetica. Pro-prio nel romanzo à'Yvain l'irnpiicazione femminile del lato competitivo délia cavalleria appare in maniera estrcma: la vedova Laudine, che s'innamora del-l'uccisore del marito, è vittima del contagio del desiderio mimetico, dell'attra-zione irresistibile che csercita su tutti, uomini e donne, la targa di miglior cavalière: «La terrible vérité est qu'elle tombe amoureuse non en dépit de ce qu'Y-vain a fait à son mari, mais à cause de ce qu'il lui a fait. Elle tombe amoureuse du champion»10.
     In Chrétien, corne in tutti i grandi scrittori, la retorica dell'ossimoro ripro-pone «le drame humain fondamental de la pierre d'achoppement mimétique»",  che, asserisce Girard, ncssuna intcrpretazione psicoanalitica, sociale o linguisti- ca potrà mai cogliere picnamente.
     Nel saggio si legge in filigrana - ma neanche troppo - la caparbia presa di  distanza di Girard dal freudisme: «la compétition est l'âme du sexe, et non la li bido freudienne»12. Girard torna dunque a insistere, dopo le entiche a Freud  esposte in La violence et le sacré e nelle pagine di Des choses cachées depuis la  fondation du monde dedicatc alla 'mitologia psicoanalitica', sulla pretesa estraneità délia sua teoria del desiderio mimetico alla teoria freudiana, che, pur es- sendosi avvicinata a qucllo che lui avrebbe poi descritto, non riesce a cogliere  l'idea di desiderio corne desiderio triangolare, rnediato da un terzo, ma restereb- be vincolata al complesso edipico, in cui il desiderio per l'oggetto matemo è intrinseco e primario. E, se Freud parla d'identificazione con il padre13, sembran- do quindi aprirsi alla mimesi, in realtà non la teorizzerebbe mai corne tratto ba- silare délia natura umana, cssendo l'identificazione con la figura patema sempre  secondaria - e seconda - rispctto al desiderio oggettuale per la madre.
      Di là dalla questione délia rivalité tra la teoria freudiana e quella girardiana,  che mi sembra egregiamentc csposta e risolta da Giovanni Bottiroli14, è innega- bile che le riflessioni di Freud sulla nozione d'identificazione, che si trovano  sparse già in alcune lettere a Fliess dcl 1896'5, sull'«assimilazione di un lo a un  lo estraneo, in conseguenza délia quale il primo lo si comporta sotto determinati  riguardi corne l'altro, lo imita, lo accoglie in certo quai modo in se»16, non siano  cosi lontane dalla mimcsi girardiana. La collaborazione dei due punti di vista  potrebbe senz'altro essore fruttuosa nell'analisi letteraria, in una ricerca che si  proponga d'indagare le rapprescntazioni del soggetto di cui i testi sono latori e  le modalità diegetiche seconde cui cssi realizzano queste rappresentazioni.
     Dedicato a Yvain anche il saggio di Nicolas Lenoir, «Yvain, la 'merveille  provée'. Figures et critique de la Royauté Sacrée»17, in cui si procède a un'applicazione délie tcorie di Girard al fine di «tenter de rendre compte de la figuration et de la signification des mythes et des rites qui forment la matière estrange  des romans de Chrétien»'8. Lenoir vuole dimostrare che, se è il mito a ispirare la  letteratura e le avvcnture dell'eroe, è l'analisi combinatoria e critica del rito che gênera il romanzo. Propone a questo scopo un'analisi del motivo mitico délia fontana meravigliosa, rifacendosi alla vccchia ipotesi di Nitze19, che collegava il rito délia fontana con il rituale dcl rc-sacerdote di Nemi, in cui riconoscere la figura délia royauté sacré teorizzata da Girard.
     Jean-Jacques Vincensini («René Girard en Brocéliande. Mimétisme et rivalité révoquée dans le motif de la 'Libération d'une femme injustement punie par immersion'»)20 présenta un'analisi dcl motivo che vede una donna costretta a immergersi in una fontana o in un lago, nei testi L 'âtre périlleux^, Le Haut Livre du GraaP e nella Continuation de Perceval di Gerbert de Montremi23. La parabola délia donna punita dal marito geloso che F accusa di mancanza di fe-deltà, ma poi liberata c vendicata da un rivale, è attraversata alla luce délia teo-ria del desiderio mimetico di Girard, dell'inserimento délia sessualità nell'alveo délia rivalité, ma poi immcssa da Vincensini in un discorso impemiato su «Feffort vivace au Moyen Age pour inscrire le corps et ses régulations naturelles dans la culture, le pensable et le social»24 e su una dialettica ordine-disordine che, attraverso un simbolismo dci liquidi - acqua e sangue - vorrebbe rappre-sentare il necessario annicntamcnto di un uomo a-culturale e Findispensabile «reconstitution sanglante de l'ordre de la culture»25.
     Dedicati alla chanson de geste \ saggi di Philippe Haugeard, «Envie, violence et sacré dans Girart de Roussillon. Lecture anthropologique et interprétation politique d'une chanson de geste»26, di Hubert Heckmann, «Théologie-fiction: Images du sacrifice rédempteur dans Ami etAmile»27, di Béate Langenbru-ch, «Trouble à la cour de Charlemagnc dans les Narbonnais. Les relation franco-allemandes épiques à la lumière du désir mimétique»28.
     Haugeard si sofferma sullc dinamiche del conflitto nella canzone di Girart de Roussillon2^ conflitto che si estcnde alla collettività intera, in un'esasperata spirale di violenza dovc, «comme dans la crise mimétique girardienne», scrive Haugeard, «la violence semble devenir elle-même objet du désir»30. Volto a di-mostrare corne una lettura girardiana permetta di far apparire le «invariants anthropologiques de la violence collective»3', anche questo saggio pone Fac-cento sulla questione, insicmc cstetica e antropologica, del doppio. Secondo Gi-rard, nella tragcdia greca, riflesso délia crisi sacrificale o mimetica, i rivali sono dei doppi e la réciprocité délia violenza diventa un valore estetico, con le oppo- sizioni di tratti simmetrici che è capace di elaborare. La crisi sacrificale è «une crise des différences, c'est-à-dire de l'ordre culturel dans son ensemble»32 e il  venir meno degli scarti differenziali tra gli individui, con la conseguente impos sibilité délia messa a fuoco di una posizione précisa rispetto all'altro da se, mina  l'ordine culturale. Ncl testo epico, esattamente corne nella tragedia greca, «les  rivaux sont des doubles et le texte épique multiplie les effets de miroir qui si gnalent ou reproduisent leur identité ou leur ressemblance»33. Se, nelle teorizza- zioni di Girard, é la dimcnsione del sacro ad arginare la violenza délia crisi, nel  mondo epico la corrispettiva funzione strutturale sarà esercitata dall'ordine poli- tico feudale, che Girart ccrca di far esplodere e Carlo s'impegna a ripristinare.
     Heckmann affronta i paradossi délia canzone Ami et Amile34, dove Dio ac corda il suo aiuto a una coppia di sosia che scambiano la loro identità durante un'ordalia, alla luce délia teologia di Anseimo di Canterbury e dell'antropologia di René Girard, mcntre Langenbruch conduce un'analisi sulla rappresentazione délia violenza nella canzone Les Narbonnais^!, delineando la visione che l'epo-pea médiévale offre dcgli allemands, per concludere che «il apparaît que le désir mimétique girardien a son rôle à jouer dans le processus du nation-building médiéval»36.
     Nella terza parte dcl volume, dedicata a narrazioni non inquadrabili in un génère ben précise, Karin Ueltschi («Le Vieillard Temps. Rois mehaigniés, Ma-nekines et rédempteurs»)37 proponc, partendo da Le Roman de la Manekine di Philippe de Rémi38, alcunc riflessioni sul tema médiévale del rinnovamento del tempo, délia nécessita per la société di una purificazione, che passa attraverso un rito sacrifïcale, in scguito al quale si avvia un nuovo cicio, seconde una logi-ca di sacrificio e rcdcnzionc, di morte e resurrezione, che sembra penetrare se-manticamente l'edificio lettcrario médiévale.
     Bertrand Rouziés-Léonardi («Le roman d'Andronic, du bouc à F agneau»)39 analizza invece la figura di Andronico I Comneno40 nella sua influenza sulFim-maginario médiévale, figura ncgativa, novello Giuda, capro espiatorio - visto seconde le prospcttivc girardianc4' -, la cui morte è un evento sacro e il cui ro-manzo è prossimo al romanzo délia passione.      Dedicato al Renart il saggio di Dominique Boutet («Violence, mimétisme  et dérision: Renart est-il un bouc émissaire?»)42. La rivalité tra Renart e Ysen- grin puô rinviare al desidcrio mimctico? Renart puo essere definito un capro  espiatorio? Con le dovutc prccisazioni, Boutet risponde di si a queste demande.  La dimensione del capro espiatorio, che pare cosi anomala se pensata per un  personaggio corne Renart, si colloca per esempio nella ricezione del testo da parte degli autori délie diverse branches, nella diacronia délia fortuna del ro-manzo di Renart, fino alla mcssa in scena, in Renart le Nouvel, dell' «immobilisation du goupil au sommet de la roue de Fortune»43, attraverso cui «Renart est devenu en quelque sorte le bouc émissaire de la société médiévale du XIII siècle en même temps que son alibi»44.
     Nei casi di pubblicazioni corne questa, si sa, il rischio è di fimre per conce-dere troppo all'autorc da cui si prcndono le rnosse e, anziché illuminare i testi, usarli per convalidare una detcrminata visione teoretica, per far vedere corne e quanto funzioni benc. Qui non accade: le teorie girardiane sono sottoposte a un puntuale vaglio critico c spcsso si mostra corne i testi letterari oitrepassino strut-ture e scherni di dccodifica.
     I meriti si spingono pero più in là, in quanto, con tutte le difficoltà e le incer-tezze metodologichc e analitiche tipiche di un'operazione che puô contare su po-chi precedenti, questo volume lascia intravedere la fertilità délie prospettive che possono essere apertc da un approccio teorctico - qui di taglio prettamente antro-pologico - al testo médiévale, ancora troppo spesso reso oggetto esclusivo di operazioni strettamente filologiche. In particolare, i saggi qui raccoiti mostrano bene che parlare di rapport! tra antropologia e letteratura non significa impegnar-si a rinvenire nci testi tracée di fatti etnografici, ma, riprendendo Favvertenza di Marie Scarpa, «d'étudier comment [la littérature] se les réapproprie, dans sa logique spécifique, comment elle en est 'travaillée' dans son écriture même»45.
     C'è dell'altro. Bcnché le tesi di Girard sul desiderio, la violenza, la natura del rito e délia religionc abbiano acquistato, con la pubblicazione di La violence et le sacré nel 1972, la portata di una teoria antropologica, noi riconosciamo gli embrioni di quella teoria in un libro che non puo che definirsi un libro di critica letteraria: è leggendo Cervantes, Dostoevskij, Flaubert, Proust che Girard, undi-ci anni prima, avcva claborato in Mensonge romantique et vérité romanesque la sua teoria del desiderio mimetico, chc oggi troviamo applicata m questa raccolta a testi del xil e xm sccolo. Occasione per riflettere su corne bisognerebbe mette-re da parte le remore nelFutilizzazionc di teorie nate da un corpus di testi mo-demi per il tcsto médiévale, in quanto una teoria, se ben fondata, puô contenere elementi che travalicano i confini di cpoche e culture, trascendono il rischio del-l'anacronismo, perché dicono qualcosa sul corne, perché e privilegiando quali oggetti, l'uorno ncl suo percorso si è raccontato délie storie.
     Georges Devereux mctteva in guardia dall'approccio, nelPindagine sull'u-rnano, basato su un solo metodo bon definito, che rnaschererebbe una forma di difesa, d'isolamcnto, di protczionc rispctto all'angoscia di poter scoprire il se nell'altro46. La sfîda c il rischio dcil'anacronismo, l'ausilio dei risultati raggiunti dall'antropologia, dalla psicoanalisi, dalle neuroscienze sono strumenti preziosi nelFedificazione di un dialogo tra noi e i testi medievali, che, ben lontano dal-l'annullare la loro alterità, promette piuttosto un nostro slancio di apertura verso questi47.


                                                                Teodoro PATERA
                                                          Università di Macerata

1 Dell'abbondante bibliografia si scgnalano G. RIZZOLATI - L. FOGASSI - V. GALLESE, «Neurophysiological Mechanisms Underlying thé Understanding and Imitation of Action», Nature Re-views Neurosciences, 2, 9, 2001, pp. 661-670; V. GAI.LESE, «Thé Two Sides ofMimesis, Girard's Mimetic Theory», Embodicd Simulation and Social Identification. Journal of Consciousness Studies, 16, 4, 2009, pp. 21-44.
2 René GIRARD, Mensonge romantique et vérité romanesque, Paris, Grasset, 1961.
3 René GIRARD, La violence et le sacré, Paris, Grasset, 1972.
4 René GIRARD, Des choses cachées depuis la fondation du monde, Paris, Grasset, 1978, p. 15.
5 Si veda pcr esempio il volume La violence au Moyen Age, Senejîance, 36, Aix-en-Provence, 1994.
6 Mimétisme violence sacré, p. 2.
7 Ivi, p. 3
8 René GIRARD, «Amour et Haine dans Yvain», in Mimétisme violence sacré, pp. 7-27. Traduzio-ne di Nicolas LENOIR del tcsto inglesc «Love and Hâte in Yvain», in Modernité au Moyen Age. Le défi dupasse, publié par Brigitte CA/KLLES et Charles MÊLA, Publications de la Faculté des lettre de Genève, Genève, Droz, 1990, (Recherches et Rencontres, n. 1), pp. 249-262.
9 /v/,p.21.
10 /v/,p. 14.
11 7v/,p.27.
12 Ivi, p. 14.
13 Sigmund FREUD, «Psicologia délie masse e analisi dell'io», in Id., Opère, Tonno, Bonnghien, 1980, vol. 9, pp. 257-330.
14 Giovanni BOTTIROLI, «Identità/ idcntificazione. Una mappa dei problemi a partire da Freud», in  Id., Jacques  Lacan, Arte linguaggio desiderio, Bergamo, Sestante Edizioni, 2002, pp. 205-255.  
15 Sigmund FREUD, Lettere a Fliess (1887-1904), Torino, Boringhieri, 1986.  
16 Sigmund FREUD, «Introduzionc alla psicoanalisi», in Id., Opère, vol. 11, pp. 112-284, a p. 175.
 17 Mimétisme, violence, sacré, pp. 29-55.  
18 Ivi, pp. 29-30.  
19 William A. NITZE, «A new source of Yvain», Modem Philology, 3, n. 3 (1905), pp. 267-280.
20 Mimétisme violence sacré, pp. 57-72.
21 L'episodio figura esclusivamcnte nel manoscritto BnF, Fr. 1433. Si veda l'appendice di L 'âtre périlleux. Roman de la table, édité par Brian WOLEDGE, Paris, Champion, 1936 pp 212-233 vv 41-48.
22 Perlesvaus: Le Haut livre du Graal, texte établi, présenté et traduit par Armand STRUBEL, Paris, Lettres gothiques, 2007, a p. 204.
23 Gerbert de Montreuil, Continuation de Perceval, édité par Marguerite OSWALD Paris Champion, 1975, t. III, vv. 15004ss.
24 Mimétisme, violence, sacré, p. 65.
25 /W,p.72.
26 /vz, pp. 75-96.
27 Ivi, pp. 97-115.
28 7v;,pp. 117-146.
29 G/rar/ rfe Roussillon, chanson de geste publiée par W. M. HACKETT, 3 vol., Paris, SATF, 1953-1955. Edizione riprodotta, tradotta, presentata e annotata da M. DE COMBARIEU DU GRÈS et G. GOUIRAN, La Chanson de Giruri de Roiissillon, Paris, Librairie Générale Française, Lettres Gothiques, 1993.
30 7v/,p.81.
31 7v/,p.95.
32 GIRARD, La Violence et le sacré, p. 76.
33 Mimétisme, violence, sacré, p. 82.
34 Ami et Amile, chanson de geste, édition de Péter F. DEMBOWSKI, Paris, Champion, 1969; Jean DUFOURNET, Ami et Amile, une chanson de geste de l'amitié, Paris, Champion, 1987.
35 Les Narbonnais. édition de Hermann SUCHIER, Paris, Société des anciens textes français 1898 2t.
36 Ivi, p. 145.
37 7v/,pp. 149-165.
38 Philippe de Rémi, Le Roman de la Manekine, édition de Barbara N. SARGENT-BAUR, Amsterdam-Atlanta, Rodopi, 1999.
39 Mimétisme, violence, sacré, pp. 167-186.
40 Chronique d'Ernoul et de Bernard le Trésorier, édition de M. L. DE MAS LATRIE, Paris, Société de l'Histoire de France, 1871.
41 René GIRARD, Le Bouc émissaire, Paris, Le Livre de Poche, 1982.
42 Mimétisme, violence, sucré, pp. 187-206.
43 Ivi, p. 204.
44 76^.
45 Marie SCARPA, «Pour une lecture ethnocritique de la littérature», Littérature et sciences humaines, 2001, pp. 285-297, a p. 288.
46 Georges DEVEREUX, From Anxiety to Method in thé Behavioural Sciences, La Haye-Paris, Mouton, 1967.
47 Per un approfondimento di questi argomenti si rimanda a Nathalie KOBLE - Mireille SÉGUY, «L'audace d'être médiévistes», in Le Moyen Age contemporain. Perspectives critiques, a cura di Nathalie KOBLE - Mireille SÉGUY, Littérature, 148, 2007, pp. 3-9 e Médiévalisme, modernité du Moyen Age, a cura di Vincent Ferré, Itinéraire!; LTC, 2010.
1 Alain CORBELLARI, Joseph lîédier écrivain et philologue, Genève, Droz, 1997. Il testo è stato recensito da Cesare Segre su questa rivista 11/2001, pp. 82-91.









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Valeurs mutualiste évoque le titre Il faut apprendre à lire

Apprentissage de la lecture : des exercices répétés, de la rigueur, de la volonté et du courage, avant toute chose

Qu'est-ce qu'apprendre ? Qu'est-ce que lire ? Qu'est-ce qu'apprendre à lire ? Comment travailler en classe ? Dans cet ouvrage qu’il dédie aux maîtresses du Cours Préparatoire, Pierre Muckensturm, praticien de l'école et philosophe du savoir, fait le point sur ces quatre questions. Après une présentation de l'état des connaissances en ce qui concerne les mécanismes cognitifs et des principes généraux qui président à l’apprentissage de la lecture, il explicite sa conviction : apprendre à lire consiste à acquérir un savoir-faire, comme apprendre à nager, coudre, skier, etc. Autrement dit, savoir lire relève d’un apprentissage rigoureux et nécessite la répétition d’exercices. Seul un travail régulier et méthodique, dirigé et encouragé par un guide qualifié, maître dans l'art de transmettre le savoir-lire, peut permettre à l'élève de progresser pas à pas et d’atteindre ce but. Pierre Muckensturm expose comment mettre en œuvre ce travail en classe. Convaincu qu’«à la fin du Cours Préparatoire, tous les élèves doivent être en possession de tous les outils du savoir-lire», que tous le peuvent et qu’accéder à la lecture, c’est accéder à la liberté, il invite ses concitoyens et collègues enseignants à faire pour cela le choix de l'exigence. Pour lui, c'est une affaire de volonté collective et de courage.

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Le Coin de table, la revue de la poésie évoque Michel Régnier, Brûlure des villes


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JEANNE D'ARC, LA VOIX DES POÈTES dans Le Coin de table, la revue de la poésie

JEANNE D’ARC L’INSPIRATRICE

En présentant la belle anthologie poétique que Bernard Lorraine et Anne Lise Diez avaient rassemblée autour de Jeanne d’Arc, nous indiquions voilà un an, dans notre numéro 32 (novembre 2007), que plus d’un million et demi de pages étaient consacrées sur Internet à la « bonne Lorraine qu’Anglais brûlèrent à Rouen ». À la date de parution d’une nouvelle et aussi belle anthologie, Jeanne d’Arc. La voix des poètes, regroupant 108 poèmes inspirés par Jeanne, en mai dernier, c’étaient 2 360 000 pages qu’on pouvait consulter sur Jeanne d’Arc ; en septembre, 3 600 000. Dans leur intéressante préface, les deux auteurs de ce nouveau recueil esquissent plusieurs raisons de cet intérêt croissant. C’est que Jeanne apparaît comme une sainte peut-être, une héroïne certainement, on pourrait dire surtout un symbole des valeurs que méprise et bafoue notre monde mercantile. Comme le précisent les auteurs, « ce qu’on voit le plus souvent en elle, c’est un admirable exemple de piété, de courage, de persévérance, de fidélité. Ce qui séduit aussi, c’est sa jeunesse, son enfance et sa simplicité, sa clarté ».

  La préface donne des signes étonnants de la constante popularité de Jeanne, les uns venant d’une école du territoire des Komis, les autres du Daghestan.

L’anthologie offre des exemples poétiques nombreux de l’universalité de l’histoire de notre petite bergère lorraine de dix-sept ans, aussi bien dans le temps, puisque l’ouvrage commence par un poème de Christine de Pizan (1429) et se termine par un autre d’Oskar Denger (2002) — que dans l’espace, puisqu’on y trouve en langue originale et en traduction une quarantaine de poèmes venant de langues étrangères.

Le livre comporte également des notices biographiques précises, sérieuses, bien documentées, ainsi qu’un index, le tout constituant un bel ouvrage, d’une présentation et d’une typographie très soignées.

Depuis près de six cents ans, l’histoire de « la petite Jeanne de France », a inspiré des poètes très divers, qui n’étaient sans doute pas tous croyants comme l’était Charles Péguy, un inspiré majeur, mais qui furent tous sensibles à une légende qu’ils contribuèrent à transformer en un mythe extrêmement fécond et, au fond, tellement nécessaire à nos espérances.

Noël Prévost

La Pucelle

Quand déjà pétillait et flambait le bûcher,

Jeanne qu’assourdissait le chant brutal des prêtres,

Sous tous ces yeux dardés de toutes les fenêtres

Sentit frémir sa chair et son âme broncher.

 

Et semblable aux agneaux que revend au boucher

Le pâtour qui s’en va sifflant des airs champêtres,

Elle considéra les choses et les êtres

Et trouva son seigneur bien ingrat et léger.

 

« C’est mal, gentil Bâtard, doux Charles, bon Xaintrailles,

De laisser les Anglais faire ces funérailles

À qui leur fit lever le siège d’Orléans. »

 

Et la Lorraine, au seul penser de cette injure,

Tandis que l’étreignait la mort des mécréants,

Las ! pleura comme eût fait une autre créature.

Paul Verlaine (1870)

Jeanne d’Arc. La voix des poètes. De Christine de Pizan à Léonard Cohen. Textes réunis par Yves Avril et Romain Vaissermann. 316 p. 25 €.


Jeanne d'Arc, la voix des poètes : de Christine de Pizan à Léonard Cohen : anthologie Jeanne d'Arc, la voix des poètes : de Christine de Pizan à Léonard Cohen : anthologie
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JEANNE D'ARC, LA VOIX DES POÈTES dans Valeurs actuelles

Les textes sont dans leur langue d'origine et traduits en français.

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Jeanne d'Arc, la voix des poètes : de Christine de Pizan à Léonard Cohen : anthologie Jeanne d'Arc, la voix des poètes : de Christine de Pizan à Léonard Cohen : anthologie
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L'INSPIRATION ANTIQUE ET ROMANTIQUE D’ANDRÉ CHÉNIER Par Noël Prévost dans la revue poétique Coin de Table

On connaît bien d’André Chénier (1762-1794) quelques poèmes très célèbres comme sa Jeune Tarentine, ou ses Ïambes, voire un vers séparé de tout : « Sur des pensers nouveaux faisons des vers antiques », mais moins son œuvre complète, depuis que l’édition de Paul Dimoff (Delagrave) n était plus disponible malgré des rééditions multiples qui ont témoigné de l’accueil de cette poésie encore au siècle dernier (1908, 1911, 1919, 1956, 1966)- Le tome II d’une nouvelle édition vient rendre disponibles à nouveau des poèmes plus souvent cités que lus.

Il est agréable de constater que cet ouvrage a reçu 1 aide du centre National des Lettres qui nous a si souvent donné l’occasion de critiquer l’emploi de notre argent en des subventions ridicules et scandaleuses. Ce n’est pas le cas ici. Mais il faut prévenir le lecteur qu’il s’agit d’une édition critique, c’est-à-dire que si les textes sont impeccables et sûrs, les notes sont imposantes (heureusement séparées) : 242 pages de poèmes sont suivies par 303 pages de notes et variantes, intéressantes, d’ailleurs.

À la ré-découverte du Chénier de ce recueil, on retrouve d abord la toute puissante influence directe des poésies grecques et latines dans ses Bucoliques, des œuvres antiques qui ont formé et inspiré des générations — jusqu’à notre inculture d’aujourd’hui.

Que te ferai-je ? dis babillarde hirondelle ?

Veux-tu qu’avec le fer je te coupe ton aile ?

Cette traduction d’un poème d’Anacréon nous renvoie à celle de Baïf, La belle aronde, et témoigne de la permanence de cette influence. Notre culture, ou plutôt ce qu’il en reste, vient de la richesse antique par l’intermédiaire de tous ces poètes, ou de ce qui en est lu aujourd’hui…

Si l’édition des œuvres de Chénier est difficile à établir, c’est parce que sa mort précoce sur l’échafaud ne lui a permis de laisser que des feuillets séparés, mélangés, sans classement. Et pourtant, il savait ce qu’il voulait avec beaucoup de précision.

Ses poèmes sont souvent de simples fragments reliés par des textes de prose indiquant ce qu’il projetait d’écrire, dans une perspective déjà ébauchée et dominée par sa pensée. C’est un aspect très émouvant. On peut citer, au hasard, quelques lignes dans un chapitre intitulé « Le Lavoir », avant des vers isolés, d’autres regroupés en poèmes :

II en tant taire une [poésie] intitulée Le Lavoir en imitant Nausicaa, et le premier chœur de l'Hippolyte. De jeunes filles lavant leurs habits  et ceux de leurs frères. […

   On trouve donc des lignes de points, tracées par Chénier lui-même, dans l’attente de vers à venir, que sa mort l’empêcha à jamais d’écrire. On sait qu’il fut exécuté trois jours avant la chute de Robespierre, qu’il retrouva sur la charrette conduisant au supplice son ami Roucher et qu’ils récitèrent tous deux le début d'Andromaque : « Oui, puisque je retrouve un ami si fidèle/Ma fortune va prendre une face nouvelle… ». Terrible sang-froid.

Chômer ne fut pas seulement le poète bucolique qui nous charme (le bucoliaste} par des pièces brèves. Son long poème L'invention, qu’on retrouve ici, montre sa vigueur.

On retrouve, à l’occasion, son esprit satirique (celui des îambes} dans ses Epîtres, même s’il dit, se référant à La Fontaine (qui lui-même s’inspirait de l’Esope antique) qu’il est prêt à « mépriser les raisins qui sont trop hauts pour moi ». Il dénonce les politiques et les poètes serviles de son époque (probablement vers 1786/7, nous disent les notes). Aux reproches sanglants d’un vers noble et sévère Ce pays toutefois offre une ample matière : Soldats tyrans du peuple obscur et gémissant, Et juges endormis aux cris de l’innocent ; Ministres oppresseurs dont la main détestable Plonge au fond des cachots la vertu redoutable. Mais loin qu’ils aient senti la fureur de nos vers, Nos vers rampent en foule aux pieds de ces pervers, Qui savent bien payer d’un mépris légitime Le lâche, qui pour eux feint d’avoir quelque estime.

On trouve déjà dans son long poème L'invention (392 vers, plus 95 vers de « Fragments préparatoires »), qui est en quelque sorte l’exposé de sa poétique, une préfiguration assez étonnante du romantisme qui nous fait comprendre ce que nous aimons en Chénier : cette alliance de l’exaltation poétique et de révocation rêvée de l’Arcadie. C’est un aspect de l’inspiration inexplicable — donc « divine » — du poète, à l’opposé du « rimeur » sans âme pour qui « La langue se refuse à ses demi-pensées ».

Celui qu’un vrai démon presse, enflamme, domine,

Ignore un tel supplice : il pense, il imagine ;

Un langage imprévu, dans son âme produit,

Naît avec sa pensée et l’embrasse et la suit ;

Les images, les mots que le génie inspire,

Où l’univers entier vit, se meut, et respire,

Source [….] que rien ne peut tarir,

En roule à son cerveau se hâtent de courir.

Tel le bouillant poète en ses transports brûlants,

Le front échevelé, les yeux étincelants,

Erre, tourne à grands pas, seul, en d’épais bocages,

S’il pourra de sa tête apaiser les orages

Et secouer le Dieu qui fatigue son sein.

De sa bouche à grands flots ce Dieu dont il est plein

Bientôt en vers nombreux s’exhale et se déchaîne.

Cette mystérieuse « inspiration » est un mythe qui nous vient de cette antiquité toute entière inspirante pour André Chômer. Si nous ne croyons plus aux interventions des Muses, son mystère subsiste et reste assez étonnant pour que les Surréalistes du siècle dernier s’en tussent encore réclamés. On souhaite que les poètes d’aujourd’hui en reçoivent toujours quelque influence.

— André Chénier, Œuvres poétiques. Tome II : Bucoliques-, Épitres et poétique, L'invention. Édition critique par Georges Buisson.


 


 


OEUVRES PŒTIQUES, volume 2 - André CHÉNIER OEUVRES PŒTIQUES, volume 2 - André CHÉNIER
48,00 €




Anthologie des troubadours Paul FABRE dans Coin de table, la Revue de la poésie

   Réunissant des œuvres de 96 poètes (sur environ 400 troubadours répertoriés), cette édition bilingue (occitane et traduction française) de 143 textes est un véritable trésor, avec un remarquable avant-propos de présentation d'une trentaine de pages: «un territoire, une langue, une poésie, un nouveau rapport entre les hommes». Si la langue d'oïl a triomphé et si le francien nous a donné le français pour des raisons politiques, c'est bien en langue d'oc « que naît la première poésie du temps en Europe », à la fin du XII siècle.

   C'est avec elle que naît aussi une « éthique de l'amour », « un rapport nouveau entre les hommes et les femmes », « un véritable humanisme qui dépasse la relation amoureuse pour devenir une exigence universelle ». On n'a que l'embarras du choix dans ce beau livre. Par exemple cette frohairitz (troubadouresse), comtesse de Die, au XIIe siècle, une de nos premières femmes poètes.

 

Estat ai en grand consirièr
Bèls amics, avinents e bo (n) s,
Qyora-os tenrat en mon poder,
E que jagués ab vos un ser,
E que-os dès un bais amorós,
Sachatz grand talent n'auria
Que-os tengués en lóc del marit,
Ab ço qu'aguéssetz plevit
De far tot çó qu'ieu volria.

         Comtessa de Dia

Bel civil, gracieux et bon,
Si je vous tenais en mon pouvoir,
Que je fusse couchée un soir avec vous,
Et que je vous donne un baiser d'amour,
Sachez que j'aurai grande envie
De vous tenir embrassé au lieu de mon mari,
Pourvu seulement que vous m'ayez promis
De faire tout ce que je voudrai.


Anthologie des Troubadours : XIIe-XIVe siècle - Paul Fabre Anthologie des Troubadours : XIIe-XIVe siècle - Paul Fabre
58,00 €




Pascale DUMONT, L’espace et le temps dans la dramaturgie médiévale française, LE MOYEN ÂGE – CXVII-2011

Pascale DUMONT, L’espace et le temps dans la dramaturgie médiévale française,
Orléans, Paradigme, 2010 ; 1 vol. in-8o, 309 p. (Medievalia, 73). ISBN : 978-2-86878-283-0. M73 Prix : € 29,00.
Dans cet ouvrage qui est une version amplifiée et élargie de sa thèse de doctorat, soutenue en 1997 à l’Université d’Anvers, P. Dumont entreprend d’étudier le traitement de l’espace et du temps dans le théâtre du Moyen Âge à travers un corpus d’œuvres représentatif de la production dramatique depuis le XIIe jusqu’à la fin du XVe siècle. Elle cherche ainsi à démontrer l’existence d’une dramaturgie proprement médiévale, en dépit du vide théorique qui caractérise le Moyen Âge dans ce domaine. L’A. commence par contextualiser l’objet de son étude et postule que l’évolution de la conception du temps et de l’espace au Moyen Âge explique en partie leur traitement dans le théâtre, dont une spécificité se trouve justement dans l’écart constaté entre la durée de l’action représentée et la durée de représentation de l’action.
Le lecteur est alors invité à suivre dans leur développement les travaux de l’A., dont l’intention est « d’aboutir à la description cumulative des tendances dramaturgiques médiévales » (p. 148). Les chap. 4, 5 et 6 sont consacrés à l’analyse de la transformation des données spatiales et temporelles lors de la dramatisation du texte-source. Sont étudiés successivement le Jeu d’Adam, le Miracle de Théophile et la Passion du Palatinus. De l’analyse de la technique dramatique de chaque fatiste, l’A. tire les éléments, convergents ou non, qui témoignent « d’un travail conscient à l’égard d’une matière préexistante » (p. 72). Dans le chap. 7 qui sert de conclusion à cette première partie, elle établit la liste des composantes potentielles d’un texte dramatique qu’elle met en relation avec leur incidence spatiale et temporelle.
Dans la seconde partie que forment les chap. 8, 9 et 10, l’A. étudie les différences de traitement du temps et de l’espace dans trois corpus envisagés dans une perspective chronologique. Le premier est consacré à la tradition des Miracles de saint Nicolas. On aurait pu y ajouter le texte joué à Avignon vers 1470 et édité par P. Aebischer1. Le second corpus regroupe trois dramatisations de la Nativité et le troisième, trois pièces relatant la Passion et la Résurrection. Ce dernier thème est vaste. Peut-être eût-il été plus pertinent d’envisager seulement les mises en scène de la Résurrection et d’étudier à côté de la Passion de Sainte-Geneviève le Mystère de la Résurrection, conservé dans le même ms.
Les trois derniers chapitres récapitulent de façon synthétique les commentaires effectués au gré des précédents chapitres. Au chap. 11, les premières conclusions établies par l’A. portent sur le traitement des sources par le fatiste pour le repérage spatial et temporel de la pièce : « la ligne de démarcation principale semble […] se situer entre les sujets bibliques et les sujets hagiographiques » (p. 211). Au chap. 12 est abordée la question de l’agencement des épisodes et de leur encadrement par les prologues, les épilogues et divers types d’intermèdes. Enfin, le chap. 13 s’intéresse à la fonction de plusieurs conventions verbales et non verbales pour le traitement du temps et de l’espace : les monologues, les chants, les écriteaux, etc.
Consciente du travail à accomplir, l’A. assume des choix méthodologiques qui paraissent fondés pour une approche globale de la question. Mais il faudra sans doute revenir ultérieurement sur le fait de traiter « les textes indépendamment de leurs illustrations éventuelles » (p. 28) et de ne pas tenir compte de « leur destination initiale » (p. 30), car on ne peut écarter d’emblée l’idée que le traitement du temps et de l’espace varie selon que le texte est composé ou copié pour être joué, lu ou seulement conservé.
Notons encore que, consacrée au traitement des données spatiales et temporelles, cette étude ne porte pas à proprement parler sur la fonction structurelle et poétique du temps et de l’espace dans la dramaturgie médiévale. Par exemple, la question des expressions de rapidité et d’empressement a bien été traitée et l’A. voit dans leur emploi « un effet d’exhaustivité » (p. 226), mais ces tournures sont également constitutives du rythme de la pièce et, à ce titre, elles mériteraient d’être évaluées en relation avec la versification, l’occupation de l’espace scénique et la répartition des
pauses (musicales ou non), etc.
En conclusion, l’ouvrage de l’A. contribuera sûrement à une meilleure compréhension de la dramaturgie au Moyen Âge et les quelques observations que nous avons pu formuler, sans diminuer les qualités de ces travaux, témoignent d’abord de leur caractère très stimulant.

Xavier LEROUX

1. Annales d’Avignon et du Comtat Venaissin, t. 18, 1932, p. 5–40.


L'Espace et le temps dans la dramaturgie médiévale française - Pascale DUMONT L'Espace et le temps dans la dramaturgie médiévale française - Pascale DUMONT
29,00 €




Poésies du non-sens dans Le Coin de table...

- Poésies du non-sens. Tome II : Resveries. Textes édites, traduits et commentés    par Martijn Rus, Éditions Paradigme. 156 p.

   On ne sait trop où classer cet ouvrage qui réunit des «non-sens relatifs» du nord et nord-ouest de la France, du XIIIe au XVe siècles. C'est bien un ouvrage d'érudition, car les textes y sont publiés dans la langue d'origine ( dialectes picard, francien ou autre ) et parfaitement commentés par des remarques philologiques et historiques. Mais comme chacun d'eux est traduit, l'ouvrage n'est pas réservé aux spécialistes. On découvre alors dans ces Oiseuses, Resveries et Traverses des textes jubilatoires dont le non-sens annonce aussi bien les comptines, les limericks anglais, que les étrangetés des cadavres exquis.


                               Vous ètes cocu, car votre toux

Diminue


                               Qui il mangé, s'il a payé,
                           Il doit être quitte.


                               Seigneur, êtes-vous prêtre ?
                               Vous portez la tonsure.


                               Apportez vite des aulx pelés
                               Dans ce mortier.


                               Allez plaider sans retard
                               C'est le moment.


Dans Coin de Table : Anthologie des Troubadours


Othon de Grandson, chevalier et poète - Jean-François Kosta-Théfaine Othon de Grandson, chevalier et poète - Jean-François Kosta-Théfaine
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COMPTES RENDUS – LE MOYEN ÂGE : Jean DUFOURNET, Le théâtre arrageois au XIIIe siècle

Jean DUFOURNET, Le théâtre arrageois au XIIIe siècle, Orléans, Paradigme, 2008 ; 1 vol. in-8o, 197 p.
La collection Medievalia des éditions Paradigme a saisi l’occasion des concours de l’agrégation en 2009 pour proposer une réunion fort bien venue d’articles rédigés par l’A. sur le théâtre arrageois au XIIIe siècle. On sait que l’A. a abondamment défriché ce champ de recherche et que c’est en grande partie grâce à lui que les études théâtrales sont devenues aujourd’hui l’un des axes les plus dynamiques de la recherche médiévistique française. Ce recueil rassemble neuf articles, parus de 1980 à 2005 et trois comptes rendus. Le lecteur peut ainsi prendre la mesure d’un travail de vingt cinq années, égrenant de nombreux articles fondateurs dont les plus importants sont ici donnés à lire et à relire. L’A. a consacré au Jeu de la Feuillée des études de grande ampleur, parues sous forme d’ouvrages1, qui viennent d’être également réédités en 2008. La présente collection d’articles n’aborde donc pas directement le Jeu de la Feuillée, bien que de nombreuses allusions soient faites à ce texte dans les articles présentés.
Après une présentation des jeux de Jean Bodel et Adam de la Halle issue du Dictionnaire des oeuvres littéraires en français (1994) qui ouvre opportunément l’ensemble, le recueil s’articule autour de trois grands textes dramatiques arrageois de cette période : Le Jeu de saint Nicolas de Jean Bodel, Courtois d’Arras et le Jeu de Robin et Marion d’Adam. Une étude générale en deux parties (Le théâtre arrageois au XIIIe siècle, premières remarques, paru en 2001 et Secondes remarques, 2005) ouvre l’ensemble. Il s’agit de la publication la plus récente de l’A. sur le sujet. Cette étude présente les lignes de force de la lecture de l’A. : le tissage intertextuel qui fait de cette écriture théâtrale un lieu de carrefour et d’expérimentation des traditions littéraires contemporaines ; l’économie du dialogue et la structure du personnel dramatique dans les jeux, reposant sur des reprises dynamiques comme le trio ou le dédoublement ; enfin l’invention d’un espace scénique complexe.
Les trois études suivantes éclairent le fonctionnement de ces trois points – écriture intertextuelle, structuration des jeux, problème des espaces – en s’appuyant particulièrement sur le Jeu de saint Nicolas. Il s’agit de l’article Du double à l’unité : les Sarrasins dans le Jeu de saint Nicolas, paru en 1993, dont on sait qu’il a marqué une importante étape dans l’analyse de l’altérité et de sa représentation chez Jean Bodel. Il est suivi de deux études plus générales, mais où ce jeu occupe une place importante : La ville et la campagne dans le théâtre arrageois du XIIIe siècle (1992) et La taverne dans le théâtre arrageois du XIIIe siècle (1989). Le Jeu de saint Nicolas y prend son sens en particulier face à Courtois d’Arras, soulignant la surprenante homogénéité culturelle du jeu arrageois.
C’est à Courtois d’Arras, jalon majeur du théâtre du XIIIe siècle entre Jean Bodel et Adam de la Halle, que sont ensuite consacrés deux articles. Ce sont deux publications majeures qui questionnent la notion d’héritage et montrent, encore une fois, la dimension de récriture inhérente au jeu dramatique : Courtois d’Arras ou le triple héritage (1991) et Les jeux de l’intertextualité dans Courtois d’Arras (2000).
Fidèle à cette logique thématique, le dernier jeu étudié ici, Robin et Marion, fait l’objet de deux analyses. Complexité et ambiguïté du Jeu de Robin et Marion (1980) a 1. Adam de la Halle à la recherche de lui-même, Paris, 1974 ; Sur le Jeu de la feuillée. Études complémentaires, Paris, 1977. été un travail essentiel dans la redécouverte de ce jeu par les critiques littéraires. La bibliographie la plus récente de Robin et Marion s’est construite à partir de ce point de départ, complété par L’intertextualité de Robin et Marion (1999). Il reste encore beaucoup à faire et il faut espérer que la relecture de ces articles soit l’occasion de nouveaux travaux. Les trois comptes rendus proposés en fin de recueil illustrent d’ailleurs la postérité critique des analyses de l’A., à travers les ouvrages de J. Blanchard sur la pastorale, de R. Berger sur la société arrageoise qui a donné naissance au théâtre, de T. Revol sur la dimension sacrée dans le jeu dramatique.
Estelle DOUDET


Le théâtre arrageois au XIIIe siècle : Le jeu de la Feuillée, Le jeu de Robin et Marion, Le jeu de saint Nicolas, Courtois d'Arras - Jean DUFOURNET Le théâtre arrageois au XIIIe siècle : Le jeu de la Feuillée, Le jeu de Robin et Marion, Le jeu de saint Nicolas, Courtois d'Arras - Jean DUFOURNET
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Le charme peu discret de la "bonne société orléanaise" dans LibeOrléans.fr


La bonne Société orléanaise : 1850-1914 : loisirs et sociabilité - Marie-Cécile Sainson La bonne Société orléanaise : 1850-1914 : loisirs et sociabilité - Marie-Cécile Sainson
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Saint Jacques. Le culte et les pèlerins en Val de Loire. Diocèses de Chartres, Blois, MOYEN ÂGE

Saint Jacques. Le culte et les pèlerins en Val de Loire. Diocèses de Chartres, Blois, Orléans et Bourges. Colloque organisé par la Société des Sciences et Lettres du Loir-et-Cher au Château royal de Blois le 13 avril 2007. Actes réunis par Pierre-Gilles GIRAULT, Orléans, Paradigme, 2008 ; 1 vol. in-8o, 236 p. (Medievalia, 67). ISBN : 978-2-86878-274-8. Prix : € 24,00.
Une pratique de grande envergure géographique, le pèlerinage à Saint-Jacques de Compostelle, est envisagée dans un cadre restreint, celui d’une région administrativefrançaise actuelle, dénommée par défaut d’imagination Centre et correspondant à une demi-douzaine de départements. Les A. y ont enquêté, à travers les siècles, sur les différents témoignages et marques du culte de l’apôtre et de la pérégrination de ses dévots. En nous limitant ici à ce qui y relève de l’époque médiévale, on épinglera une contribution de portée générale de C. Vincent : elle y examine les divergences de vues et les réserves perceptibles dans le monde chrétien à propos de l’opportunité de l’acte de pèlerinage, demeuré néanmoins pratique intense et durable, et ce dès les Pères de l’Église et plus spécialement chez des prédicateurs de la fin du Moyen Âge. Les grands points d’appui de la recherche entreprise à l’échelle régionale sont d’abord les pèlerins eux-mêmes dans leurs « gestes » (D. Péricard-Méa), dans la littérature épique (P.G. Girault), dans la générosité royale manifestée par les aumônes (P. Aladjidi, qui élargit l’enquête à toute la France du bas Moyen Âge). Viennent ensuite les chemins et les sanctuaires (F. Michaud-Fréjaville, M. Bouyssou), les confréries (J.P. Sauvage), ferments de tels sanctuaires dits de proximité, l’iconographie (M. Tissier de Mallerais). On notera que là comme ailleurs, il faut se garder des extrapolations, en ce sens qu’une dévotion à saint Jacques, par exemple à la cathédrale de Chartres, ou une institution charitable à lui dédiée, comme à Blois, n’induit pas ipso facto une référence à la Galice. Il arrive aussi que l’on confonde, bien tard encore, l’apôtre de Compostelle et son homonyme, autre compagnon du Christ, Jacques dit le Mineur. Les célèbres « chemins de Saint-Jacques » français, en Val de Loire comme ailleurs, ne sont pas les itinéraires exclusifs des pèlerins – il est bien d’autres voies possibles – ni davantage des « tracés » exclusivement destinés à leur usage – marchands et voyageurs divers les empruntent simultanément : mais faut-il pour autant les rejeter dans l’espace d’une histoire « totalement mythique » (p. 25), formule ambiguë et déroutante pour le lecteur profane s’il en est, d’autant
plus qu’ils ont joui, fût-ce tardivement, d’un « prestige particulier », comme le souligne C. Beaune dans les conclusions du livre ? Au-delà de son ancrage régional, ce petit ouvrage illustré et bien présenté, clôturé par les réflexions d’un ecclésiastique blésois, pèlerin d’aujourd’hui, intéressera tous ceux que ne laisse pas indifférents l’anthropologie du fait pèlerin et, plus largement, religieux.

Jean-Marie CAUCHIES


Saint Jacques, le culte et les pèlerins en Val de Loire : diocèses de Chartres, Blois, Orléans et Bourges Saint Jacques, le culte et les pèlerins en Val de Loire : diocèses de Chartres, Blois, Orléans et Bourges
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Pieter VAN REENEN, coll. Margôt VAN MULKEN et Evert WATTEL, Chartes de Champagne en français conservées aux Archives de l’Aube LE MOYEN ÂGE – CXV-2009

Pieter VAN REENEN, coll. Margôt VAN MULKEN et Evert WATTEL, Chartes de Champagne en français conservées aux Archives de l’Aube, 1270-1300, -283 p.
Cette édition de chartes champenoises fait suite à celle des documents antérieurs à 1271, qu’a préparée D. Coq (1988), dans la série française des Documents linguistiques de la France (dir. J. Monfrin). Elle comble un manque dans le corpus constitué par A. Dees et P.V.R. pour étudier l’ancien français1.
Le volume est subdivisé comme suit : introduction [V-XII], édition [1-172], table des noms de personnes et de lieux [173-209], glossaire [211-271], table des documents par fonds [273-275], bibliographie [277-278] et plan de Troyes au XIIIe s. [279-281].
L’introduction est maigre. P.V.R. y aborde les raisons qui l’ont poussé à éditer ces documents et la continuité de son travail par rapport à celui de D. Coq. P.V.R. se dispense ainsi de fournir une introduction complète et renvoie au travail de D. Coq concernant le cadre historique. Pour l’étude linguistique P.V.R. renvoie à la thèse de Y. Kawaguchi2. L’exploitation historique des matériaux est peu développée. Les analyses sont satisfaisantes et comprennent systématiquement les mentions des auteurs et des scelleurs en cas de juridiction gracieuse, ce qui sera utile aux historiens.
La transcription est « diplomatique ». Les abréviations sont résolues (et marquées par l’italique) et ‹ſ› est assimilée à ‹s›, mais la modernisation des oppositions entre ‹i› et ‹j› ou ‹u› et ‹v› n’est pas effectuée et aucun accent n’est ajouté. Selon P.V.R., la ponctuation n’est pas modernisée et l’édition conserve les signes originaux. Ces choix rendent le texte peu lisible pour qui n’a pas l’habitude de pratiquer les manuscrits, mais ont l’avantage de donner à lire un texte plus authentique. La transcription n’est cependant pas toujours fiable. P.V.R. fournit la photographie du premier document, ce qui permet de mettre à l’épreuve son travail et révèle que la transcription de la ponctuation est peu rigoureuse : plusieurs signes originaux manquent ou sont ajoutés. Les textes sont cependant bien présentés et pourvus de deux séries de notes – formes que l’É. a jugées « irrégulières » (marquées par sic) d’une part et notes explicatives d’autre part.
Toutes les occurrences de chaque mot ont été relevées, mais le glossaire est difficilement utilisable. On s’étonnera tout d’abord de n’y trouver aucune référence aux dictionnaires traitant de l’ancien français (au moins Gdf, TL, FEW et DEAF). Nous ne prendrons qu’un seul exemple, qui montre comment une mauvaise lecture peut se conjuguer à une mauvaise pratique glossairistique, l’article afie : 1) il s’agit d’une mauvaise lecture pour asie ; 2) l’entrée n’est pas à l’infinitif alors qu’il s’agit d’un verbe ; 3) la « traduction » ne l’est pas non plus, ce qui la rend non substituable (elle est contextuelle, suivant une mauvaise compréhension du texte). Enfin, le recours à des traductions plutôt qu’à des définitions des unités linguistiques est peu satisfaisant. L’agencement des entrées est par ailleurs perturbé. Ainsi, les verbes employés à des temps composés sont rangés dans une entrée dont la forme correspond au participe passé. Comme aucun accent n’a été ajouté, les mots sont difficilement reconnaissables sans contexte. D’autre part, comme la distinction entre ‹i› et ‹j› n’a pas été modernisée, on trouve ainsi le mot justice sous i puisqu’il est graphié ‹iustice›.
L’intérêt des tables de noms propres est diminué par l’absence de transcription des mentions dorsales, qui constituent un précieux adjuvant à leur identification.
En conclusion, cette édition des chartes de Champagne doit être manipulée avec prudence et ne devrait pas servir à des analyses automatisées, bien que l’édition soit accessible en ligne à l’adresse http://www.uni-stuttgart.de/lingrom/stein/ corpus/ (au 26/07/07).

Nicolas MAZZIOTTA

1. Voir A. DEES, Atlas des formes et des constructions des chartes franç aises du 13e s., Tübingen, 1980.
2. Recherches linguistiques sur le champenois méridional au Moyen Âge, Lille, 2002.


Chartes de Champagne en français conservées aux Archives de l'Aube, 1270-1300 - P. Van Reenen Chartes de Champagne en français conservées aux Archives de l'Aube, 1270-1300 - P. Van Reenen
28,00 €




Remembrances et Resveries. Mélanges Jean Batany, MOYEN ÂGE

Remembrances et Resveries. Mélanges Jean Batany, 1 vol. in-8°, 452 p.
Ce livre rassemble trente-deux articles classés selon quatre rubriques, correspondant aux principaux axes de recherche de J. Batany dont la biographie est esquissée (p. 7-8) et les travaux majeurs rappelés dans une bibliographie bien présentée (p. 9-18).
La première section comprend cinq études relatives au Tristan de Béroul : Le rendez- vous épié dans le verger dans les romans de Tristan de Béroul, d’Eilhart von Oberg et de Gottfried von Straßburg, ou la mise en scène de l’amour par D. Buschinger (p. 21-27) ; Quand Tristan réécrit son histoire… par H. Legros (p. 29-40) ; Marc en Assuérus, Iseut en Esther ? Les possibles enjeux d’une réminiscence biblique dans le Tristan de Béroul de F. Mora (p. 41-51) ; Valeurs nocturnes et souterraines de la carrière héroïque dans les romans de Tristan de J.M. Pastré (p. 53-62) et Le regard et la parole dans le Tristan de Béroul de J. Ribard (p. 63-67).
La deuxième partie regroupe huit contributions portant sur les Estats du monde auxquels J. Batany a consacré sa thèse de doctorat d’État : Le Pommier de douceur de Robert du Herlin (1481) par P.Y. Badel (p. 71-83) ; La hiérarchie sociale dans l’empire mongol vue par les voyageurs occidentaux (XIIIe-XIVe s.) par C. Deluz (p. 85-94) ; Éloy d’Amerval et les Estats du monde de R. Deschaux (p. 95-103) ; Dumeziliana mediaevalia
de J.H. Grisward (p. 105-116) ; Le Berger à la fin du Moyen Âge. Remarques sur une Figure Trifonctionnelle par D. Hüe (p. 117-138) ; Le rôle du bestiaire dans la représentation des estats et de leurs devoirs dans le Quadrilogue invectif d’Alain Chartier par D. Lechat (p. 139-151) ; Remarques sur les cibles du rire dans les fabliaux de chevalerie de J.L. Leclanche (p. 153-162) ; Sur quelques triades sociales : glanures des champs hispaniques
in honorem Jean Batany, de V. Serverat (p. 163-183).
Le troisième chapitre qui ressortit à l’épopée animale et à la fable recueille douze articles différents : Les oiseaux de proie dressés pour la chasse : de l’emblème nobiliaire aux frontières de l’allégorie d’A.M. Bégou-Ball (p. 187-196) ; Du prestre comporté, ou
comment se débarrasser d’un cadavre par G. Bianciotto (p. 197-209) ; Il complotto della volpe (e della donnola), ovvero : la retorica del trickster de M. Bonafin (p. 211-217) ; La « matière de Tibert » dans les manuscrits du Roman de Renart par D. Boutet (p. 219- 232) ; L’intertexte français du Dit du chat-loup, Detto del gatto lupesco de R. Brusegan (p. 233-261) ; Quelques autres brindilles le long de la branche X du Roman de Renart
(Renart et le vilain Liétart) par J. Dufournet (p. 263-272) ; Renart probablement animal, histoire et cinéma de X. Kawa-Topor (p. 273-287) ; Médecins et malades. Fables et proverbes par G. Mombello (p. 289-305) ; Un gastéropode chez les quadrupèdes, Tardif le Limaçon de B. Roy (p. 307-314) ; C’est chouette, ça ? de B. Sergent (p. 315-324) ; La couleur du loup. Esquisse de mythologie épique par P. Walter (p. 325-333) ; Le Livre du roy Rambaux
de Frise et du roy Brunor de Dampnemarche. Un exemplum du bon gouvernement de M. Zink (p. 335-343).
La dernière section, réservée aux questions de langue, comporte sept études :
De la deshonnesté que l’en fist au pappe Formose : le XXVIIe conte du Tombel de Chartrose (manuscrit 244 du Mont-Saint-Michel) par C. Bougy (p. 347-360) ; Le mot félon et apparentés : un sémantisme brisé de J. Chaurand (p. 361-371) ; Comment traduire
la Bible en français ? La solution méconnue de Sébastien Castellion (1555) par N. Gueunier (p. 373-386) ; Sur les gloses françaises de Rachi (1040-1105) par R. Kochmann (p. 387-404) ; Baligan ou les avatars d’un émir par S. Laîné (p. 405-428) ; Sur l’emploi, en toponymie normande, du faux adjectif médiéval viel, vieux de R. Lepelley (p. 429-436) ; enfin Le latin une « utile inutilité » de Léon Nadio (p. 437-445).
Cet ouvrage, riche et varié, constitue donc un bel hommage à J. Batany et atteste combien ses travaux scientifiques continuent d’être appréciés et de susciter d’intéressants prolongements.

Claude LACHET


Remembrances et resveries : hommage à Jean Batany Remembrances et resveries : hommage à Jean Batany
60,00 €




Jean DUFOURNET, Le Roman de Renart, entre réécriture et innovation MOYEN ÂGE

Jean DUFOURNET, Le Roman de Renart, entre réécriture et innovation, 250 p.  Les éditions Paradigme qui avaient déjà publié en 1993 Du Roman de Renart à Rutebeuf ont eu la bonne idée de rassembler cette fois douze articles que J. Dufournet a consacrés, de 1971 à 2006, au Roman de Renart et à ses avatars.
Le recueil s’ouvre par une présentation générale (p. 7-17) de cet ensemble de vingtsix branches où l’A. distingue trois groupes : les récits composés entre 1175 et 1180, les contes écrits entre 1180 et 1200, enfin les derniers rédigés entre 1205 et 1250 ; il dégage aussi les sources mythiques, folkloriques et littéraires avant de souligner les « deux principes créateurs de l’arborescence et de la réécriture » à l’oeuvre dans ce « texte du ressassement » où l’on remarque d’une branche à l’autre, voire à l’intérieur d’une même branche des jeux subtils « d’amplifications, d’inversions et de variations » (p. 11). Si la plupart de ces récits se structurent autour de quêtes de nourriture et de justice, c’est la ruse qui confère au Roman de Renart une certaine unité. J.D. s’attache de surcroît à réhabiliter plusieurs branches qui ont mauvaise réputation, comme Le Siège de Maupertuis, La Confession de Renart, Renart le noir et Le Partage des proies. Grâce à un examen minutieux de ces récits dénigrés par la critique littéraire, il démontre avec perspicacité et finesse les intérêts et les mérites de chacun avec les quatre articles suivants : Défense et illustration de la branche Ia du Roman de
Renart (p. 19-41), La réécriture dans la Confession de Renart (branche VII du Roman de Renart). Jeux et enjeux (p. 43-54), Renart le noir : réécriture et quête de l’identité (p. 115- 136), Littérature oralisante et subversion : la branche XVIII du Roman de Renart ou le partage des proies (p. 161-184). La branche de Liétard est l’objet d’une double étude, comparative avec les Vêpres de Tibert dans Réécriture et arborescence dans le Roman de Renart (branches X et XI). Deux auteurs au travail (p. 55-76), et sociologique avec Portrait d’un paysan du Moyen Âge : le vilain Liétard (p. 77-114). Les innovations apportées par chaque conteur et les spécificités de chaque branche sont clairement expliquées comme c’est encore le cas pour L’originalité de la branche XVII du Roman de Renart ou les trois morts du goupil (p. 137-159). J.D. propose aussi un compte rendu précis de la thèse de J. Scheidegger, Le Roman de Renart ou le texte de la dérision, avant de s’intéresser aux adaptations modernes du roman médiéval avec le Renert luxembourgeois de M. Rodange (p. 191-206), Le Roman de Renard de M. Genevoix (p. 207-230), Le Roman de Renart d’A.M. Schmidt et la bande dessinée-série noire, Le Polar de Renard de J.G. Imbar et J.L. Hubert (p. 231-248).
En définitive l’ouvrage de J.D. illustre parfaitement la vitalité du Roman de Renart qui, à travers toutes ces réécritures et ces adaptations du Moyen Âge à notre époque, ne cesse de se renouveler pour notre plus grand plaisir.

Claude LACHET


Le Roman de Renart, entre réécriture et innovation  - Jean DUFOURNET Le Roman de Renart, entre réécriture et innovation - Jean DUFOURNET
30,00 €




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